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Non ci son più le regole di una voltaCi…
By matteo | January 28, 2003
Non ci son più le regole di una volta
Ci vorrebbe uno bravo per dire ‘ste cose, magari un sociologo od unsemiologo, intanto ci provo. Internet ha cambiato le regole, molte regole, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione in quanto tale, essendo un media. Ha rotto una dei postulati fondamentali dei media tradizionali: l’unidirezionalità del messaggio. Il giornale lo leggi e non rispondi ‘direttamente’ al giornalista, stesso per la TV, la Radio, il cinema. Internet è diverso: puoi comunicare biderezionalmente, molto spesso. Il primo esempio che mi viene in mente è Punto Informatico che dà la possiblità di commentare direttamente le notizie (e su alcuni argomenti ci son stati anche più di duecento messaggi in un giorno solo). Poi i blog, con la posibilità di postare subito un messaggio ad una notizia: una fattore che muta certamente la comunicazione e, quindi, le sue regole. Ho letto una specie di raccolta, sul blog di Pino Scaccia, circa il discorso ‘fuffa’ (per fortuna il tormentone sta tramontando) e ho visto la discussione tra Sofri e Laura, che mi sembra un mirabile esempio del fenomemo: i due non hanno mai comunicato direttamente: per lo meno ‘direttamente’ come quando uno manda una mail all’altro o risponde al post di qualcuno nel blog di costui (che è un ‘direttamente’ anomalo rispetto alla comunicazione ‘tradizionale’, niente da dire). No, è successa un’altra cosa, diversa ancora: un intreccio di risposte a commenti, poi una lettera aperta riportata da un terzo interlocutore che, nel flusso classico della comunicazione (comunicante–> messaggio —> ricevente) lo si potrebbe definire sia comunicante (nel suo blog Scaccia comunica, è naturale) che messaggio (in quanto, riportando la lettera di Laura è indirettamente un contenuto, un messaggio stesso a Sofri, e a tutti, ovviamente) che ricevente (diventa lui stesso destinatario delle varie risposte). Una forzatura? Può darsi: però, nel mondo ‘reale’ una comunicazione del genere è un tantino difficile da realizzarsi, può ricordare un po’ il giochino che si fa quando, da piccoli, si è arrabbiati con il proprio fratello e, a tavola tutti assieme, si dice al papà: “Di a mio fratello che è cattivo”, il papà riporta e fa da ‘tramite’ nella conversazione. Alcune autorevoli conferme alla mia intuizione (scusate la modestia): qui detto con un casino di parole da mal di testa (autopoiesi della rete? ma cosa vuol dire?) astenersi perditempo, qui già più a portata di mano, in questo brodo immenso di Eco assieme ad altre cosette, qui una tesi intera. Continua? A voi.
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