La capsula di vetro
By matteo | February 1, 2006
Non so quanti abbiano avuto occasione di entrare e stare per qualche giorno in una comunità residenziale, di qualsiasi genere. Sino ad ora ho avuto modo di sperimentarne due: un collegio e una di recupero per tossicodipendenti. Prima da una parte della barricata, poi dall’altra. Prima educato poi educatore. Se nel collegio, come educato, la vita era – tutto sommato – una restrizione (per le regole più rigide e per la grande quantità di partecipanti alla famiglia) rispetto al resto, all’esistenza comune, nella comunità invece (vien generalmente chiamata col termine totalizzante) la vita non è proprio lo specchio della normalità. Sarebbe difficile rendere bene certe assurdità, discussioni smisurate per “il tono con cui mi ha detto…”, “perché ad alcuni è permesso…” e cose così. Poi, se si può evitare tranquillamente di descrivere dei comuni adolescenti in un colleggio, magari non tutti hanno familiarità con un gruppo di tossicodipendenti in disintossicazione. Tutta la qui presente manfrina solo per dire che ci sono delle versioni di “Grande fratello” che superano di gran lunga le trovate dei reclusi patinati ad un euro al giorno per la visione, altroché. Poi anche per dirvi che la definizione di “capsula di vetro” sentita oggi ha un fascino niente male.
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L’iridologo
By matteo | February 1, 2006
Mio cugino è andato dall’iridologo. Voleva esser certo che stava bene anche se, di fatto, si sentiva già bene. E’ stato per non scartare anche quel tipo di analisi, ecco. L’iridologo si chiamava Giacomo e fino a tre anni fa era un tornitore in una fabbrica qua vicino. Poi un giorno ha lasciato una zampetta sotto la pressa e gli e venuta subito la vocazione di fare l’iridologo. Mio cugino sostiene che c’è una correlazione. Noi ci siamo andati lo stesso, tutti sanno del fatto della pressa ma tanti diconoche tramite l’iride riesce a capire le malattie che c’hai dentro ma è molto meno dannoso dei raggi, per dire. Bon: appena arrivati ‘sto Giacomo ha messo mio cugino davanti ad una pannellino di un qualcosa che poteva essere o plastica o vetro, e l’aggeggio era attaccatto ad un computer. Ha fatto guardare mio cugino nel coso per circa un minuto e poi gli ha sparato, senza ritegno, la diagnosi in faccia: “Te non c’hai proprio niente”. Ha poi spiegato che l’aggeggio scandagliava, tramite l’analisi dell’iride – che abbiamo saputo essere una specie di canale d’accesso per la verifica degli organi interni – tutto l’interno di mio cugino, il tutto tramite la risonza del mascherone trasparente via iride. Una cosa tipo il sonar per i sottomarini, verrebbe da pensare. Con la mano buona (quella schiacciata la tiene in po’ in disparte, ha un’arte tuttta sua nel farlo, che se non ci fai proprio attenzione manco te ne accorgi [mi ricordo la stessa cosa di un prete in colleggio che ci mancavano due dita e mezzo di una mano, ma non ci si accorgeva facilmente tanto era abile]) ci indicava il tragitto dei segnali, il contatto con gli organi interni ed il ritorno. Non sappiamo se sia dottore anche se dubitiamo entrambi che in soli 3 anni (probabilmente anche meno, si sarà pur curato la zampetta ferita) si possa diventare “dottori in iride e passaggi agli organi interni”. Probabilmente ha fatto qualche buon corso, anche di computer. Ha girato infatti il monitor e ci ha fatto vedere la figura di mio cugino con gli organi interni di diverso colore e con diverse gradazioni, pareva un filino di essere con Piero Angela. Pensate: tutta ‘sta diagnosi per soli 30 euro.
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La fuga
By matteo | January 28, 2006
(Incompleto)
Nacque per la prima volta (così gli pare di ricordare ogni tanto) nella savana senza nome, a metà della seconda luna di primavera, quando guidava il villaggio Abumba Maronga. Crebbe e divenne uomo, sempre e solo con occhi alla sua terra. Un giorno vennero nel villaggio degli uomini cattivi, lo catturano con armi potenti e lo legarono con catene ai piedi, assieme a tanti altri suoi fratelli.
E non fu mai più libero.
Morì, gettato in mare dalla nave che lo portava verso una terra lontana, perché aveva cercato di scappare dalla catene.
Rinacque all’instante come bruco. Crebbe nutrendosi della natura poi sentì l’impulso di diventare qualcos’altro e si chiuse in un bozzolo. Morì cercando di tramutarsi in farfalla, tentando di scappare dalla nuova prigione.
Si ripresentò immediatamente nel centro di un uovo ed iniziò a pulsare. Pareva una gabbia ancora, anche quella, ma era solo l’inizio della vita. Divenne presto pulcino e poi pollo, chiuso in una gabbia troppo piccola e con troppi altri polli. Con troppo cibo e troppa luce e troppo giorno e niente notte. Morì cercando di trovare la libertà, con la testa schiacciata da una porta.
E continua così, in mille diverse creature, sperando e cercando di ridiventare qualcuno che possa liberarsi da quell’ansia, da quella fuga.
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